Al Serafico di Assisi il Festival per le città accessibili e un corso per professioni sanitarie
di Francesca Di Maolo
ASSISI – Da ieri pomeriggio si stanno svolgendo al Serafico di Assisi due eventi molto importanti: il laboratorio esperienziale organizzato dal FESTIVAL PER LE CITTÀ ACCESSIBILI, aperto agli architetti e ingegneri, e il corso nazionale di aggiornamento organizzato dalla SIMFER (società italiana di medicina fisica e riabilitativa) per le professioni sanitarie, dal tema “Umanizzazione ed efficacia in medicina riabilitativa”. Questi due appuntamenti hanno molto in comune.
ASSISI – Da ieri pomeriggio si stanno svolgendo al Serafico di Assisi due eventi molto importanti: il laboratorio esperienziale organizzato dal FESTIVAL PER LE CITTÀ ACCESSIBILI, aperto agli architetti e ingegneri, e il corso nazionale di aggiornamento organizzato dalla SIMFER (società italiana di medicina fisica e riabilitativa) per le professioni sanitarie, dal tema “Umanizzazione ed efficacia in medicina riabilitativa”. Questi due appuntamenti hanno molto in comune.
A volte, attraversando alcune città, si ha l’impressione che siano state progettate da tecnici che vivono in solitudine, senza età, senza famiglia, senza relazioni personali, senza memoria di sé. Manca la consapevolezza delle conseguenze che alcune scelte progettuali possono avere su donne e uomini reali.
Mancano le persone quelle vere: anziani, bambini, disabili sensoriali, disabili fisici…….Ma la stessa sensazione la si prova sempre più frequentemente entrando negli ospedali, nei luoghi di cura, dove, il pur importante processo di aziendalizzazione, rischia di far dimenticare che l’Ospedale “hospitalis” (da hospes = ospite) è il luogo naturale dell’accoglienza e del “prendersi cura” della persona fragile.
Prendersi cura di qualcuno significa mettere la persona al centro di relazioni significative e di ambienti capaci di stimolare e di aprire alla speranza. Italo Calvino nel 1972 scriveva che “Le città come i sogni sono costruiti di desideri e paure”. Credo che quest’affermazione valga per la progettazione di qualsiasi ambiente e penso che tanti ambienti ospedalieri italiani siano stati costruiti solo di paure. Dobbiamo riempire i nostri spazi di cura non solo di una rinnovata umanità, ma anche di bellezza che stimola la speranza e ci aiuta ad alzare lo sguardo oltre l’orizzonte.
Le malattie, come il limite, possono segnare il cammino di una persona, possono imprigionare un corpo, ma non un’anima, che continua a volare verso mete alte. Tutti coloro che sono impegnati in un percorso di cura non possono e non devono interrompere questo volo.
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