Mobilitazione contro il caro energia anche ad Assisi, bruciate le bollette
Mobilitazione di alcuni settori – alberghi, ristorazione, campeggi, vendite di mobili, panetterie-pasticcerie, supermercati, ingrossi, tanto per citare qualche esempio – che sono più colpiti ma, dalle piccole alle grandi, non c’è attività del commercio, turismo e servizi che non debba fare i conti con gli aumenti vertiginosi delle bollette di luce e gas.
Aumenti così impattanti sul loro futuro da indurle alla protesta plateale. Così il 5 settembre gli imprenditori del commercio, turismo e servizi dalle 11 hanno animato un presidio in contemporanea in 13 città umbre, aderendo all’iniziativa di Confcommercio Umbria “NON spegnete l’Italia, NON spegnete il Futuro”.
Perugia, Terni, Assisi, Bastia Umbra, Castiglione del Lago, Città di Castello, Foligno, Gubbio, Gualdo Tadino, Marsciano, Norcia, Spoleto, Umbertide sono stati i luoghi di una protesta simbolica, che ha voluto rappresentare un livello di esasperazione e preoccupazione altissimo. Ben in evidenza cartelli con alcuni esempi di aumenti di bollette: i costi sono mediamente triplicati rispetto agli stessi mesi del 2021, ma in alcuni casi gli aumenti sono ancora più clamorosi.
E poi in ogni piazza – in collegamento con la conferenza stampa del presidente di Confcommercio Umbria Giorgio Mencaroni – c’è stato il falò delle bollette, momento clou di una iniziativa che è nata davvero dal “basso”, dall’angoscia di imprenditori che temono fortemente per il futuro della propria attività.
La protesta prevede anche lo spegnimento di luci e insegne delle imprese, escluse quelle in attività, durante le ore notturne dalle 20 di lunedì 4 fino a venerdì 9 settembre.
“Con aumenti dei costi dell’energia del 300%/400% e una incidenza sui costi di gestione altissima lavorare è impossibile – ha sottolineato il presidente di Confcommercio Umbria Giorgio Mencaroni. – Molte imprese hanno fiato per 1-2 mesi, poi, se non saranno posti freni agli aumenti, saranno costrette a soluzioni drastiche. A tanti converrà chiudere piuttosto che tenere aperto. Ma una scelta del genere per un imprenditore è drammatica, anche perché siamo perfettamente consapevoli dell’impatto sociale e occupazionale che ne deriverebbe: perdita di posti di lavoro e contemporanea ulteriore inflazione a causa di aumenti inevitabili dei prezzi per chi vuole continuare a stare aperto.
Confcommercio nazionale ha stimato che, a causa del caro bollette, ben 120mila imprese del terziario di mercato sono a rischio chiusura da qui ai primi sei mesi del 2023, con relativi 370mila posti di lavoro in bilico.
Complessivamente, la spesa in energia per i comparti del terziario nel 2022 ammonterà a 33 mld di euro, il triplo rispetto al 2021 (11 mld) e più del doppio rispetto al 2019 (14,9 mld).
La bolletta energetica degli alberghi italiani ha raggiunto il livello record di 3,8 miliardi di euro, con un costo medio di circa 120.000 euro per ciascuna struttura (94.000 per l’energia elettrica e 26.000 per il gas), che aumenta con progressione geometrica. In media, il conto del mese di luglio 2022 è risultato più che triplicato rispetto a luglio 2021.
Significa che oltre il 18% del volume d’affari del settore viene assorbito dal pagamento delle forniture di energia elettrica e di gas. Per far quadrare i conti dovremmo aumentare in modo consistente i prezzi. Ma chi come noi va incontro alla bassa stagione, caratterizzata dal calo dei prezzi e del tasso di occupazione delle strutture, dovrà anticipare il momento della chiusura. E anche tra le aziende che solitamente rimangono aperte tutto l’anno, c’è chi sta considerando seriamente la possibilità di chiudere durante l’inverno, prima che l’accensione dei riscaldamenti faccia saltare del tutto i conti.
Tra gli altri settori più esposti anche il commercio al dettaglio (la media e grande distribuzione alimentare a luglio ha visto quintuplicare le bollette di luce e gas), la ristorazione, che ha avuto aumenti tripli rispetto a luglio 2021, i trasporti, che oltre al caro carburanti (+30-35% da inizio pandemia ad oggi) si trovano ora a dover fermare i mezzi a gas metano per i rincari della materia prima.
Liberi professionisti i primi a risentirne
A risentire pesantemente della situazione sono però anche i liberi professionisti, le agenzie di viaggio, le attività artistiche e sportive, i servizi di supporto alle imprese e il comparto dell’abbigliamento. E non dimentichiamo le imprese dell’ICT: le server farm, ad esempio, sono grandi consumatori di energia. Il caro bollette rallenta dunque anche il processo di innovazione e digitalizzazione.
Una situazione di vera e propria emergenza che sta comprimendo i già bassi margini operativi di molte aziende.
Sul fronte famiglie non va meglio – ha proseguito Mencaroni -. Secondo il monitoraggio dell’Ufficio Studi Confcommercio, su un totale consumi all’anno di oltre 19mila euro pro capite, per le spese obbligate se ne vanno 8.154 euro (+152€ rispetto all’anno scorso). Tra queste spese, la quota principale è rappresentata dalla voce abitazione (4.713 euro), ma il contributo maggiore all’incremento complessivo viene dall’aggregato energia, gas e carburanti (1.854 euro) che, nella media del 2022, raggiunge un’incidenza sul totale consumi del 9,7%, valore mai registrato prima.
Per questo bisogna intervenire subito e in modo incisivo – ha concluso il presidente Confcommercio Umbria. La prima urgenza è fissare un tetto al prezzo del gas e dell’energia elettrica e riconoscere un credito di imposta che compensi gli aumenti record sin qui registrati anche per le imprese non energivore e non gasivore.
Un credito di imposta del 15% per l’energia elettrica non è assolutamente adeguato agli extra costi che le imprese stanno sostenendo ora. Inoltre va eliminata ogni tassa/accisa sulle bollette energetiche fino al 31 dicembre 2022”.
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