Fr. Michael Anthony Perry, ofm
Ministro generale
Sorelle carissime, il Signore vi dia pace! «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù» (EG 1). Le parole con cui si apre l’esortazione apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco ci immettono da subito nella realtà di una gioia che riempie la vita. È la gioia stessa del Cristo, ed è una gioia diffusiva, che desidera comunicarsi. La Chiesa nasce in uscita: “Andate!” (cf. Papa Francesco, Omelia nella S. Messa al Cenacolo, 26.5.2014). Le porte del Cenacolo non possono rimanere chiuse: Gesù le attraversa perché la gioia dell’incontro con Lui vivente rinsaldi i discepoli nell’unità e faccia correre i loro piedi nell’annuncio fino agli estremi confini della terra. «La gioia del Vangelo che riempie la vita della comunità dei discepoli è una gioia missionaria. […] L’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione si configura essenzialmente come comunione missionaria» (EG 21.23): Dio vuole provocare nei credenti un “dinamismo di uscita” (cf. EG 20-23).
La parola chiara di Papa Francesco invita la Chiesa ad avanzare sulla via dell’evangelizzazione. È una parola che interpella ogni discepolo, e che provoca anche noi, fratelli e sorelle.
Ascoltando con voi questo invito, vi raggiungo con la presente lettera in occasione della festa della madre santa Chiara, cercando di cogliere la specificità di questa esortazione per voi, che avete abbracciato e che vivete la forma di vita delle Sorelle Povere. Come il mandato missionario può essere letto dentro la vita di Chiara? Cosa ha da dire a voi e alle vostre comunità, oggi? Nel rimanere insieme alle sue sorelle tra le mura di San Damiano, Chiara ha saputo farsi evangelizzatrice vivendo con semplicità e pienezza il Vangelo e annunciando con la vita la buona notizia. Portando ogni giorno il suo sguardo nello “specchio” che è il Figlio di Dio, ella ha saputo lasciarsi abitare dai suoi sentimenti, fino a trasformare la sua esistenza nella somiglianza piena dell’immagine di Lui (cf. 3LAg12-13). La vita che abbraccia diventa testimonianza: rimanendo nella contemplazione del Figlio da sempre volto verso il seno del Padre, Chiara segue il suo movimento “in uscita” per amore, il suo discendere facendosi simile agli uomini (cf. Fil 2,6-11), raggiungendoli nella concretezza della vita. L’incarnazione di Gesù è incontro con la fragilità, è assunzione della povertà, è consegna nell’umiltà, è ingresso nella periferia. Dio entra nella storia abitando gli spazi della marginalità, lì dove la polvere delle strade della Galilea sporca i piedi, dove le mani sono segnate da ferite e da calli, dove la vita si gioca nelle relazioni quotidiane, nelle situazioni feriali, nelle circostanze ordinarie.
La vita di Chiara non desidera essere altro che sequela del Figlio di Dio che per noi si è fatto via (TestsC 5), mettendo le proprie orme in quelle che Egli ha lasciato (cf. 3LAg 4.25). Il suo rispondere alla chiamata del Padre, conosciuta e incontrata attraverso il padre san Francesco, ha significato concretamente abitare con le sue sorelle nel monastero di San Damiano restando aperta alla vita di Assisi, sentendosi parte della sua storia e della sua gente, “permeabile” alla realtà concreta della vita dei fratelli. Chiara va ad abitare in un luogo povero, marginale, prossimo, e questa scelta crea per la sua comunità la possibilità di una prossimità con i marginali e i poveri. Questa vicinanza le permette di sentire il fiato della città, di conoscere le ferite, le paure, le attese, i bisogni della gente.
Vi risponde con un ascolto ospitale, come grembo che accoglie e che si fa cassa di risonanza del grido dei poveri al Padre delle misericordie (TestsC 2). Chiara vive così la sua missione: a partire dall’andare incontro alla sorella più prossima, rimanendo aperta verso i frati e verso la gente, spingendosi fino a desiderare di raggiungere il Marocco per ottenere il martirio. Chiara, dentro i confini di San Damiano, tenendo lo sguardo fisso su Gesù, lasciandosi abitare dai suoi sentimenti, può “lasciar entrare” i fratelli e può “vivere in uscita” verso di loro, non chiusa nella propria sussistenza e autonomia, ma pellegrina e forestiera (cf. RsC VIII,2) in cammino verso il santuario dell’Altro e la terra promessa dell’incontro con l’altro. È possibile quindi essere “in uscita”, essere missionari, raggiungere le periferie, anche rimanendo in monastero. Ma come lo si può tradurre nella concretezza della concreta vita quotidiana?
Una prima modalità è stata ricordata dallo stesso Papa Francesco: «Ma le comunità di clausura? Sì, anche quelle, perché sono sempre “in uscita” con la preghiera, con il cuore aperto al mondo, agli orizzonti di Dio» (Regina caeli, 1.6.2014). Se pregare è rimanere nella preghiera di Gesù, da lì non si può che uscire nell’esodo dell’amore che si spinge ad abbracciare il mondo e ogni volto. Il Figlio è colui che dimora nel Padre e insieme si fa accanto ad ogni uomo, all’ultimo.
Ci sono altre dimensioni della missionarietà che ciascuna di voi e delle vostre comunità può vivere.
La vostra vita, connotata dalla stabilità, vi fa radicare in un luogo preciso, intessere legami con un territorio. Stabilità non è staticità e chiusura, bensì radicamento e relazione vitale. Ha in sé, quindi, una valenza dinamica. Il monastero può alimentare una relazione “osmotica” con il territorio in cui è inserito, lasciando penetrare il respiro affannoso o affaticato di tanti fratelli e sorelle e restituendo il soffio potente e lieve dello Spirito di vita. Dentro realtà tante voltec hiuse alla speranza, la comunità può essere testimonianza degli orizzonti più larghi della presenza di Dio: con semplicità, mostrando senza troppi filtri o barriere una umanità autentica, una fraternità possibile nella ricerca l’una del bene dell’altra, e insieme del bene comune. Nessuna struttura può e deve trattenere il dono della misericordia ricevuta: «Il Signore stesso infatti ci collocò come forma, in esempio e specchio…» (TestsC 19 ss.).
Siete chiamate, in quanto Sorelle povere, a vivere un movimento di “decentramento”, a ri-cercare il centro vero e vitale, il principio di unità che vi fa convergere. «Per capire davvero la realtà, ci dobbiamo “scollocare”, vedere la realtà da più punti di vista differenti» (Papa Francesco alla USG). C’è un possibile e necessario movimento di decentramento da compiere, a partire da sé e a partire dalla propria comunità. Il mondo non nasce e non finisce dentro i confini delle mura del monastero. È fondamentale non assolutizzare la propria realtà, ma avere lo sguardo sapiente di chi sa cogliere la complessità. Per questo il punto di osservazione migliore si può trovare nella periferia. Porsi lì, a fianco dei più deboli, di tanti volti anonimi, aiuta a comprendere meglio dove batte il cuore del mondo e a chi anela. Lì, nelle esistenze più segnate da fallimenti e sconfitte, potete lasciare cadere il seme buono di una Parola di vita.
È ancora una volta il Maestro ad indicarci lo stile, così come lo vediamo fare con la Samaritana. Gesù siede al pozzo. Partecipa della stanchezza e della sete dell’umanità e lì si lascia incontrare dalla donna, attendendola nel luogo della sua quotidiana fatica di attingere l’acqua. Nel dialogo con lei, mettendosi in ascolto della sua sete, Gesù la conduce in un cammino di verità e di libertà fino a farle riconoscere la sete più profonda, accompagnandola con misericordia: la donna così può ripartire, diventando ella stessa “missionaria”.
Come Gesù, siate “accessibili”, pronte ad accogliere chi si avvicina a voi. Siate specchio della sua misericordia, perché l’incontro con la Verità possa liberare. «La comunità evangelizzatrice vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia», si mette «nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze», «si dispone ad accompagnare» con pazienza (EG 24), contemplando il senso religioso di chi nella vita di ogni giorno lotta per sopravvivere, per «ottenere un dialogo come quello che il Signore realizzò con la samaritana» (EG 72), “da persona a persona”, imparando“ l’arte dell’accompagnamento” (cf. EG 127-129).
C’è un’altra modalità di vivere il mandato missionario che credo possa riguardare la vostra specifica missione nella Chiesa, e cioè il vostro essere luogo accogliente per noi fratelli e per tanti missionari che sono esposti nelle prime linee della missio ad gentes. Essere grembo per i loro ritorni, essere per loro come una locanda in cui trovare l’olio per medicare qualche ferita ricevuta e il vino per ristorarsi e per rinnovare le energie nel contatto con Colui che è il vino della gioia: è un servizio bello che potete offrire. Si può essere chiamati ad annunciare il Vangelo con attività o gesti diversi, ma tutti siamo chiamati a vivere la carità con la medesima passione e premura.
È possibile esercitare oggi il mandato missionario attraverso i mezzi di comunicazione, utilizzandoli con sapienza e creatività, «cercando di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità» (EG 41). Questo richiede una formazione ad un uso intelligente dei media e alla conoscenza di linguaggi e forme di espressione nuove, per comunicare la fede soprattutto ai più giovani.
Infine, ricorda il Papa che «la Chiesa “in uscita” è una Chiesa con le porte aperte» (EG 46). Il monastero non sia un luogo chiuso ed escludente, ma una casa aperta che offra a chi è in ricerca o a chi si è smarrito, a chi desidera sostare o a chi è solo di passaggio, il ristoro di una preghiera condivisa e di una liturgia curata, l’acqua viva della Parola, il calore di un abbraccio che comprende, il volto semplice e vero di una vita bella e di una fraternità autentica. La clausura sia a servizio di una relazione profonda, libera, intensa con il Signore; la solida appartenenza a lui, contemplato ed amato, vi porti ad amare con cuore libero ogni fratello per il quale Egli ha dato la vita. Non siate chiuse nelle vostre strutture: rimanendo nella contemplazione, siete chiamate ad essere un segno per gli uomini e le donne del nostro tempo partecipando alla loro vita, manifestando con gioia e speranza, attraverso la vostra umanità, la presenza del Risorto.
Sorelle carissime, ho cercato di raccogliere con voi qualche provocazione a partire dall’invito di Papa Francesco.
Lo Spirito santo con la sua santa operazione (cf. RsC X,9; Rb X,8) tenga sempre il vostro cuore, come quello della madre santa Chiara, aperto ad accogliere e pronto a partire. Egli vi doni di avere una grande umanità, di «essere persone che sanno capire i problemi umani, che sanno perdonare, che sanno chiedere al Signore per le persone» (Papa Francesco, Incontro al Protomonastero, 4.10.2013). La preghiera di intercessione vi motivi a cercare il bene degli altri e si trasformi in un ringraziamento a Dio per loro (cf. EG 281-283).
Alla vostra preghiera affido il cammino di preparazione all’ormai prossimo Capitolo generale.
Il Signore ci doni di vivere in pienezza la nostra vocazione di fratelli e di sorelle, nella gioia di una vita che si fa annuncio! Auguri!
Roma, 15 luglio 2014
Festa di san Bonaventura, Dottore della Chiesa
Fr. Michael Anthony Perry, ofm
Ministro generale
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