Sulla scorta del suo ultimo testo, intitolato Dono e Perdono, edito da Einaudi, Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, noto pensatore contemporaneo, è intervenuto ieri pomeriggio in un teatro delle Stuoie (Domus Pacis – Assisi) particolarmente affollato per un incontro organizzato dall’Opera della Porziuncola. Con una riflessione come al solito incisiva e persuasiva, il priore di Bose è riuscito a intrattenere su una parola che pare non tanto suscitare disinteresse da parte della società, ma che sembra spesso davvero inascoltabile tanto è la sua forza provocatoria e profetica.
All’inizio del suo intervento Enzo Bianchi si chiedeva se davvero l’uomo ha bisogno di altro rispetto a questa parola, se davvero non sia il Perdono l’unica cosa necessaria. Si tratta peraltro anche dell’unica dimensione di salvezza di cui l’uomo può fare esperienza. Il corpo, le relazioni, tutte le dimensioni dell’uomo sono in qualche modo determinate da logorio e consumazione. La misericordia è la sintesi della salvezza sperimentabile in terra.
Il Dio ebraico-cristiano poi si è svelato con il nome del Perdono, Egli è perdono, perché in ultimo Dio è amore, dice la Rivelazione. Il nome di Dio quindi è Perdono. Oltretutto non un Amore che dobbiamo meritare, logica di cui tutti gli amori sono in qualche modo segnati, un amore del tutto straordinario perché l’unico non determinato da questa corrispondenza, ma, come sostiene San Paolo, del tutto asimmetrico.
Abbiamo bisogno di perdono perché siamo segnati tutti dall’esperienza del male, dall’esperienza di questa tragedia che tocca l’uomo e che si manifesta nella sua eccezionalità, ma anche in quella che Hannah Arendt ha chiamato la “banalità del male”.
Enzo Bianchi ha poi proseguito illustrando il processo del perdono in noi, in che modo si può vivere il perdono: cominciando dal “rinnegare se stessi”, rinunciando all’ira, alla violenza, alla reazione più immediata, ripartendo dall’accusarci, prima che dall’accusare, per continuare con la comprensione dell’altro che non è mai definibile dal suo peccato.
Il perdono poi non si conclude con la propria vicenda personale ma deve anche toccare la società, la cultura, la comunità. Su questo Enzo Bianchi ha ricordato le parole assolutamente originali e profonde di Papa Giovanni Paolo II che in modo lapidario ha sostenuto con forza che “non c’è pace senza giustizia, ma non c’è giustizia senza perdono”. Una parola che ancora suscita scalpore e sorpresa ma che appare paradossalmente l’unica ancora possibile soprattutto in situazione così tragiche come quella della Terra Santa in cui l’esperienza del male del mondo sembra aver ormai toccato momenti estremi.
Commenta per primo