
La sua vita personale fino alla sua vocazione
Il cardinale Mauro Gambetti, oggi vicario del Papa per la Città del Vaticano e arciprete della basilica di San Pietro, ripercorre in un’intervista la propria vicenda umana e spirituale, segnata da una scelta difficile: abbandonare il sogno imprenditoriale e l’amore per una donna, Cristina, per rispondere alla chiamata religiosa. Originario di Imola, classe 1963, Gambetti è passato da una giovinezza comune – tra studi di ingegneria, sogni ispirati da Gianni Agnelli e una relazione stabile – alla vita di frate francescano e poi al vertice della Chiesa cattolica.
Cresciuto in una famiglia dove il lavoro era parte integrante della quotidianità, il padre – un perito tecnico e piccolo imprenditore – gestiva una ditta per la riparazione di macchine agricole. L’ambiente familiare non era particolarmente clericale, ma già da bambino Gambetti sentì una prima, timida attrazione verso il sacro, quando a 11 anni, durante una riflessione sulla preghiera in parrocchia, ebbe l’impressione di una presenza divina. Un tocco interiore che lo lasciò spiazzato, tanto da rimanere in silenzio. Quella scintilla si sarebbe riaccesa molti anni più tardi.
Negli anni ’80, attratto dall’idea di successo, affermazione personale e benessere, inseguiva la carriera da imprenditore. Si era iscritto a ingegneria e si era fidanzato con Cristina, una ragazza con cui parlava di futuro e di matrimonio. La vita affettiva gli sembrava allora la via naturale per la felicità. Tuttavia, qualcosa dentro di lui restava inascoltato. L’esperienza dell’amore gli restituiva continuamente un interrogativo più profondo: quello sul senso della vita e sul mistero di Dio.
Il cambiamento si avviò attraverso incontri fortuiti. Un amico gli confidò il desiderio di entrare in seminario; il fratello Fabio, oggi dirigente scolastico, lo invitò a riscoprire la fede. Così riprese in mano la Bibbia. La lesse integralmente, senza comprenderla appieno, ma intuendovi un disegno profondo. La partecipazione a un campo estivo presso il santuario di San Gabriele dell’Addolorata, sul Gran Sasso, lo scosse definitivamente. Tornò alla parrocchia di origine, trovandovi una realtà complessa, segnata in passato dallo scandalo di un sacerdote che non aveva voluto rinunciare al ministero pur essendosi innamorato. Eppure, fu proprio in quella comunità che maturò la seconda vocazione, la più consapevole.
A 24 anni, dopo l’invito del parroco a fidarsi pienamente di Dio, qualcosa si ruppe dentro di lui. Andò a confessarsi, tornò alla messa e quel giorno ascoltò la parabola del figliol prodigo. In quel racconto vide riflessa la propria storia. Lì cominciò la decisione vera. Spiegò alla fidanzata i propri dubbi: pur provando un profondo affetto, sentiva che quella non era la sua strada. Lei lo comprese, accettando la scelta con una lettera intensa e rispettosa, che ancora oggi il cardinale ricorda con emozione.
Seguirono il servizio militare e l’incontro con i frati minori conventuali. Una settimana vissuta nel sacro convento di Assisi fu decisiva. Ne uscì convinto che Dio fosse libertà e che nella libertà dei suoi figli si rivelasse il vero volto del Padre. Quel momento, racconta, fu segnato da un pianto liberatorio. Dopo la laurea, il trasferimento ad Assisi, poi a Osimo, di nuovo ad Assisi: iniziò la formazione teologica, diventò frate e poi sacerdote.
Dal 2009 al 2020, ha ricoperto il ruolo di custode del sacro convento di Assisi, accogliendo pellegrini, dialogando con autorità religiose e civili, cercando sempre un punto di equilibrio tra spiritualità e servizio. Oggi, con l’incarico al Vaticano, si muove tra le dinamiche della fede e quelle del potere, cercando di portare nel cuore della Chiesa l’orizzonte francescano che lo ha formato.
Nella sua attuale attività, coordina anche la Fondazione Fratelli tutti, ispirata all’enciclica di Papa Francesco. La fondazione propone oggi un ambizioso obiettivo: elaborare una nuova “Carta dell’Umano” per aggiornare la tradizionale Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, ritenuta dallo stesso cardinale non più sufficiente a esprimere l’intera dignità della persona. Secondo Gambetti, la vecchia impostazione rischia di cristallizzare le divisioni invece che superarle. Occorre invece riscoprire un terreno condiviso che unisca le aspirazioni comuni dell’umanità.
Nel suo nuovo libro, “Il Vocabolario della fraternità”, curato da padre Francesco Occhetta, Gambetti propone un linguaggio alternativo, una chiave di lettura più umana e meno aggressiva del nostro tempo. Ammette però che viviamo in un’epoca in cui prevalgono odio, aggressività, narrazioni divisive. Eppure, afferma, non bisogna rinunciare a sognare percorsi di pace, come avvenne con gli accordi tra Rabin e Arafat o il processo di riconciliazione in Sudafrica guidato da Nelson Mandela. Questi eventi, anche se lontani nel tempo, restano per lui simboli di possibilità e di speranza.
La guerra moderna, osserva il cardinale, assume forme sempre più sofisticate e meno riconoscibili: non solo armi, ma anche tecnologie, potere economico e dominio informativo. Sono tutti strumenti per esercitare sopraffazione. Eppure, la peggiore forma di disumanità, dice, è l’assenza di compassione. Senza questa, l’uomo perde la propria essenza. La bomba atomica, afferma provocatoriamente, non è nemmeno il peggiore dei mali, se la nostra coscienza non è scossa dalla sofferenza e dalla morte degli innocenti.
Nel cuore della riflessione del cardinale, soprattutto in vista della Settimana Santa, resta il crocifisso. Cristo, dice, è lo specchio in cui ogni uomo può riconoscersi. Accogliere questa verità significa aprirsi alla vita; rifiutarla vuol dire imboccare una strada di oscurità.
Infine, su una domanda provocatoria sull’illuminismo, Gambetti non esita a rispondere: la Chiesa si è riconciliata con le istanze della modernità, ma è convinto che la vera fraternità non sia stata inventata in Francia nel 1789, bensì sia nata dal messaggio evangelico. La libertà portata all’eccesso ha generato un iperindividualismo, mentre l’uguaglianza esasperata ha spinto verso derive totalitarie. Serve una nuova sintesi, che ponga al centro il valore della relazione.
E mentre il mondo guarda con preoccupazione alla deriva dei nazionalismi e ai rischi di nuove guerre, Gambetti continua a lanciare un messaggio controcorrente: non c’è umanità senza fratellanza, e non c’è pace senza ascolto dell’altro. Anche in un tempo segnato dal rumore e dalla conflittualità, la via indicata dalla croce resta, per lui, la più radicale affermazione della vita.
Articolo di Aldo Cazzullo Corriere della Sera
Commenta per primo