
Cinque Sì per un’Italia che chiede più giustizia sociale
Il referendum non ha raggiunto il quorum. L’affluenza sotto la soglia necessaria a renderlo valido è un dato incontestabile. Tuttavia, oltre il dato numerico, resta un segnale politico rilevante: oltre 14 milioni di cittadini hanno scelto di esprimersi a favore dei cinque quesiti, tracciando una linea netta sul futuro che auspicano per il Paese.
Non si è trattato solo di una consultazione tecnica. Gli elettori che hanno votato Sì hanno chiesto una profonda revisione del sistema dei diritti del lavoro e delle politiche sociali. Le loro preferenze raccontano un’Italia che pretende più equità, che considera inaccettabili i licenziamenti illegittimi, che pretende tutele reali per i salari, regole chiare e giuste negli appalti pubblici, e la fine della precarietà sistemica.
Il voto ha messo in evidenza l’idea di una cittadinanza inclusiva, fondata sul contributo concreto di chi vive, lavora e partecipa alla vita del Paese, al di là della nazionalità. Per molti, è stata l’occasione per ribadire che i diritti non sono un privilegio concesso ma una base irrinunciabile della convivenza democratica.
Il mancato quorum, per molti osservatori, è anche il risultato di una strategia politica mirata. Le principali forze di governo hanno scelto di non promuovere la partecipazione popolare al referendum, evitando un confronto aperto sui temi proposti. Un atteggiamento che, secondo i promotori, riflette una visione della democrazia in cui l’esercizio diretto della sovranità è percepito come ostacolo, non come risorsa.
Il contesto in cui il voto si è svolto è quello di un Paese attraversato da tensioni sistemiche: nella sanità pubblica sottofinanziata, nella scuola segnata da disparità, nell’ambiente minacciato da scelte industriali poco lungimiranti, nella giustizia percepita come diseguale. L’astensione ha quindi finito per rafforzare una lettura politica più ampia, che denuncia l’esclusione dei cittadini dai processi decisionali su temi fondamentali.
Da Assisi arriva la voce di chi rivendica con forza la partecipazione come elemento fondante della propria azione politica. Per loro, la consultazione ha rappresentato un passaggio importante di un percorso più ampio, che punta alla trasformazione legislativa e culturale del Paese.
Il risultato, pur non vincolante, ha un peso simbolico. Milioni di italiani hanno dichiarato che il lavoro non può essere trattato come una variabile economica, che la cittadinanza non è una barriera da superare, che i diritti fondamentali non possono essere sacrificati sull’altare dell’efficienza.
L’obiettivo ora è tradurre il consenso raccolto in iniziative concrete. Le forze che hanno sostenuto il Sì intendono mantenere viva la mobilitazione, nella convinzione che la battaglia per una società più giusta e inclusiva debba proseguire.
Il referendum non ha raggiunto la soglia legale, ma ha reso visibile una parte del Paese che ha scelto da che parte stare. Una parte che non si rassegna e che continuerà a lottare perché quelle richieste di cambiamento trovino finalmente spazio nell’agenda politica nazionale.
Rotta di cambiamento? No rotta di collisione