Morte Davide Piampiano, Piero Fabbri, ero certo fosse un animale
Ha sostenuto di avere visto “un’ombra” e di avere sparato “certo che si trattasse di un animale e non di una persona” Piero Fabbri, 57 anni, sentito oggi dal gip di Firenze nell’ambito dell’indagine nella quale è accusato di omicidio colposo per la morte del ventiquattrenne Davide Piampiano durante una battuta di caccia nelle campagne di Assisi. Un nuovo interrogatorio di garanzia dopo la trasmissione degli atti dalla Procura di Perugia a quella del capoluogo toscano.
Fabbri, difeso dall’avvocato Luca Maori, ha riferito al giudice di avere sentito Piampiano al telefono poco prima dello sparo e che il giovane gli avrebbe detto di essere con il cane. L’indagato ha quindi spiegato di avere “sentito dei latrati provenire da molto più lontano” del punto dove aveva sparato e quindi di avere esploso il colpo di fucile “certo” che l’ombra fosse un cinghiale e non Piampiano.
Fabbri ha quindi ribadito di avere “fatto una sciocchezza” nei momenti successivi non attendo subito di avere sparato al compagno di caccia. Così come di averlo fatto per “vergogna” verso la madre davanti alla quale ora – sempre in base alle sue parole – vorrebbe “chiedere perdono mettendosi in ginocchio”. Nel corso dell’udienza, l’avvocato Maori ha depositato una consulenza balistica di parte.
L’indagato avrebbe scambiato la giovane vittima per un cinghiale, ma avrebbe anche dovuto usare maggiore cautela nell’atto di sparare un colpo di fucile nei pressi dell’area in cui era consapevole che fossero presenti altre persone durante la medesima battuta di caccia; “la sciocchezza” dietro cui è stato creato un alibi morale da parte della difesa dell’imputato e da quest’ultimo stesso ha causato un danno irreparabile ad una famiglia.
È inopportuno ed estraneo da logiche morali degne di nota celare le proprie inadempienze dietro giustificazioni che altro non fanno che aggravare le circostanze soprattutto alla luce di omissione di soccorso e depistaggio.