
“Cari amici di Roma e del Lazio grazie per la vostra visita a questa città! Mi auguro che il vostro pellegrinaggio e la nostra accoglienza siano l’espressione congiunta di una rinnovata consapevolezza degli impegni che ci attendono e che investono non solo la politica, ma prima ancora la coscienza di ciascuno di noi”. E’ questo il saluto rivolto dal Vescovo di Assisi, Mons. Domenico Sorrentino ai pellegrini giunti per la festa di San Francesco.
Vi porto, cari amici di Roma e del Lazio, il saluto di questa comunità ecclesiale. Giuseppe Placido Nicolini, grande vescovo di questa Città, interpretò bene l’anima della nostra Nazione quando, negli anni trenta del secolo scorso, si prodigò per ottenere dal Papa che S. Francesco fosse proclamato patrono d’Italia.
La proclamazione giunse alla vigilia della seconda guerra mondiale. Lacrime e sangue erano alle porte. Oggi forse non c’è sangue, ma lacrime sì, tante, e nessuno ormai si fa illusioni sulla gravità e la durata di una crisi senza precedenti, che non è solo economica, ma investe i valori e la coesione sociale. In questa connessione tra economico e morale, solo una politica dello struzzo non vede quanto sarebbe vano sventolare come una parola magica la bandiera delle riforme, se esse non implicano innanzitutto la riforma morale, che Francesco, stando alla sua Lettera ai Reggitori dei popoli, sintetizzerebbe nel ritorno a Dio e alla sua legge in tutti gli ambiti della vita, a partire dal rispetto della vita.
Il patrocinio di san Francesco, cari amici, è non meno attuale di settantacinque anni fa. Forse ancora più necessario. Non può essere ridotto a elemento coreografico del nostro paesaggio culturale. É piuttosto una risorsa spirituale del Paese.
SAN FRANCESCO CI INTERPELLA. Quanto ancora ci riconosciamo in lui, quanto, del vangelo che egli ha vissuto, è rimasto nel nostro patrimonio ideale?
L’anno scorso, in questa stessa giornata, papa Francesco pellegrino ad Assisi c’è lo ripresentò al vivo. Fu un’esperienza indimenticabile, una lezione tutta ancora da assimilare. Ci ripresentò, con i gesti, prima ancora che con le parole, il giovane assisano che otto secoli fa rovesciò l’idolo del denaro per mettersi dalla parte dei poveri e farsi fratello universale.
Ci spiegò che, se vogliamo ispirarci a lui, dobbiamo dichiarare guerra alla “cultura dello scarto” e promuovere la cultura dell’incontro.
Volle visitare – “prima” assoluta nella lunga storia dei papi ad Assisi – la sala del Vescovado dove il figlio di Pietro di Bernardone si spogliò di tutti i suoi beni. E sulle sue orme ci invitò a spogliarci di una mondanità che chiude ed uccide, per lasciarci coinvolgere dalle piaghe di ogni sofferente.
Questo pomeriggio, quasi riprendendo la lezione a distanza di un anno, ci aspetta a Roma – e Assisi, nonostante la sua festa, non mancherà all’appello – perché ci vuole attenti al Sinodo sul tema della famiglia, la cui crisi profonda, nella legislazione e nel costume, rischia di vanificare a priori qualunque altro tipo di riforma, perché mina le basi stesse della società.
Cari amici di Roma e del Lazio! Grazie per la vostra visita a questa Città. Mi auguro che il vostro pellegrinaggio e la nostra accoglienza siano l’espressione congiunta di una rinnovata consapevolezza degli impegni che ci attendono, e che investono non solo la politica, ma, prima ancora, la coscienza di ciascuno di noi. Buona conclusione del pellegrinaggio, e buona giornata a ciascuno di voi.
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