Gli affreschi della chiesa parrocchiale di Torchiagina di Francesca Capitini
E’ stato inaugurato di recente, all’interno della restaurata chiesa parrocchiale di Torchiagina, un vasto ciclo pittorico a carattere catechetico/figurativo. A tal proposito abbiamo incontrato padre Luigi Marioli, critico d’arte e già direttore del Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco ad Assisi, per fargli alcune domande.
Padre Luigi il ciclo pittorico, realizzato nella chiesa di Torchiagina dalla pittrice Francesca Capitini, è una catechesi dipinta che trasmette pathos in grado di agganciare la sensibilità della gente comune. Può darci una lettura artistica e teologica del palisento figurativo?
La laboriosa impresa, svolta con insolita tecnica moderna a pezzature, ha nobilitato senz’altro il modesto invaso architettonico vagamente arieggiante uno stile romanico di maniera, comune del resto ad altre chiese limitrofe, sorte tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento per la volontà realizzativa dei vari parroci e la generosa collaborazione della popolazione locale.
L’invaso architettonico è infatti a navata unica con capriate in legno a vista e termina con ampio catino absidale.
E’ dentro questa elementare struttura, che una giovane pittrice, Francesca Capitini, non nuova a simili imprese, è riuscita a portare a felice compimento l’articolato palinsesto catechetico, ideato dal parroco, don Michele Giura, e che può essere riassunto in questi termini.
• Nell’abside, in luogo del tradizionale “Ciel d’oro” seminato di stelle a contorno della “Crux gemmata”, di lontana ascendenza bizantina, la Capitini, secondando il pensiero didattico del parroco, ha illustrato il mistero capitale della Santissima Trinità.
In alto infatti campeggia, in posa maiestatica, la figura di Dio Padre (“Fons vitae”) a braccia spalancate.
Al centro, in ordine assiale, aleggia la figura dello Spirito Santo (“Dator munerum”) in forma di colomba.
In basso, sempre in asse, domina la figura scolpita del Crocefisso (“Salvator mundi”), che la mistica francescana amava appellare “Dio umanato”.
Ai lati del crocefisso, trovano il loro posto d’onore i santi titolari della parrocchia: la Madonna del Rosario, Gregorio Magno e s. Carlo Borromeo, nel bel mezzo di un turbinio di angeli osannanti.
La parte più esaltante di tutto il complesso, dal punto di vista della valenza artistica, è quella che si trova alla base di tutta l’impaginazione pittorica, dove si apre all’improvviso uno scenario panoramico di grande bellezza, in cui si possono riconoscere i borghi e la morbida spalliera delle colline circostanti.
E’ qui, in questa verde esedra, tutelata dai santi Protettori, che sono meglio rappresentate le opere e i giorni della comunità parrocchiale.
E’ qui che trovano campo giovani coppie di sposi con la loro nidiata di figli insieme a una coppia di sposi anziani al tramonto della vita, ma che si tengono ancora teneramente per mano.
E’ qui, e non già ai margini, che è raffigurato anche un malato legato alla sua infermità.
Qui il Paradiso non è davvero lontano. Nell’armoniosa “communio Sanctorum” si respira un’aria di “Pasqua rosata” e di un’eterna primavera.
• Nella zona antistante l’arco trionfale, dai medaglioni dei sottarchi occhieggia un originale Santorale, che ama allineare insieme ai Santi di antica venerazione, anche una folta schiera di santi di più recente canonizzazione:
s. Massimiliano Kolbe, s. Giuseppe Moscati, S. Giovanna Beretta Mollo, s. Teresa di Calcutta, s. Pio da Pietralcina e molti altri ancora.
Commovente è poi il volto giovanile di s. Gabriele dell’Addolorata, che proprio qui, a Torchiagina, prese il suo primo latte da una balia del luogo.
• Lungo la parete destra della navata, si snoda invece, come in un libro figurato, il “Vangelo della misericordia”, con ampio rimando al Vangelo di Luca, che Dante definì, con nobilissima dizione, “Scriba mansuetudinis Christi”.
Nella parete di fronte, a specchio, sono ricordate le opere di misericordia spirituale e corporale, che meglio esprimono il Vangelo tradotto in opere.
• Il palinsesto figurativo non termina però in fondo alla navata, ma deborda nel piccolo atrio antistante la chiesa, quasi a ricordare: entrando, si diventa “Uditori della Parola”; uscendo, si diventa Operatori della Parola.
In tal modo, attingendo gratuitamente al pozzo di Giacobbe, diventiamo noi stessi, come la Samaritana, sorgenti d’acqua viva.
Proprio come ammoniva la scritta incisa sull’orlo di un antico pozzo francescano:
“HIC DATUR OMNIBUS” (= “Quest’acqua è data gratuitamente a tutti”).
Il ciclo pittorico nella chiesa di Torchiagina è una notevole impresa catechetica tramata sul criterio della bellezza. L’arte a servizio della fede. Può parlarci di questa scelta ancorata alla grande tradizione della Chiesa?
La storia conosce il fenomeno dell’iconoclastia, che nell’VIII secolo mise in questione la liceità delle icone sacre. Si temeva che esse fomentassero l’idolatria. I timori furono dissipati dal concilio ecumenico celebrato a Nicea nel 787. Fu una grande affermazione di fede nel mistero cardine del cristianesimo: l’incarnazione. Se Dio ha preso il volto dell’uomo, sarà anche lecito esprimerlo – per Cristo e per i suoi santi – in maniera iconica. Da un principio di fede, nasceva la grande storia dell’arte cristiana. Si andava delineando la “via pulchritudinis”, che costituisce al tempo stesso un percorso artistico-estetico e un itinerario di fede e di ricerca teologica. E sicuramente la catechesi dipinta nella chiesa di Torchiagina è un eloquente esempio di come attraverso la bellezza, come ci ricorda papa Francesco,“l’arte è via maestra per accedere alla fede”.
Francesco Fasulo e Maria Chiara Fasulo
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