I lavori del Convegno sono proseguiti (nella mattinata del 30 novembre) con la sessione dedicata a “L’uomo, l’arte e il sacro”. Hanno relazionato mons. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore (Firenze), e il prof. Sergio Givone, docente di Estetica all’Università degli Studi di Firenze. Mons. Verdon ha proposto una riflessione sulla «funzione dell’arte sacra cristiana» a partire dagli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Giotto, che rappresenta l’epoca in cui l’espressione artistica era indissolubilmente legata alla sfera cristiana, ci propone l’uomo Francesco come colui che «pregando percepisce nel cuore la forza del linguaggio divino».
Linguaggio divino che si fa pane e si confonde nel «puzzo dei bassi fondi dell’Urbe» nella famosa Vocazione di San Matteo del Caravaggio: il linguaggio dell’artista è «efficace come indagine religiosa» per quanto sconcertante per il pubblico cristiano dell’epoca. L’arte va quindi verso la visione di Cristo «come l’anti-eroe» per eccellenza (Rembrandt), Colui che va a cercare l’uomo nella sua «periferia esistenziale». Ma, col passare dei secoli fino alla società odierna, «il genere umano, reso insensibile dal benessere, immobilizzato dai piaceri», reputa «politicamente scorretto e addirittura offensivo» realizzare opere che facciano chiara allusione a Cristo (Wallinger) o alla fede in genere.
Ma ciò che di fatto emerge dalle opere degli artisti di oggi è una «ricerca spirituale focalizzata sull’uomo ma paradossalmente priva di Dio» (Viola), in cui «traspare tuttavia, anche se in maniera confusa, la sete di salvezza, la fame di senso e di vita vera». «La Chiesa – ha concluso mons. Verdon – con la sua millenaria tradizione di bellezza, deve andare incontro all’uomo» e noi cristiani siamo chiamati a «rispondere a quanti sperano da noi qualcosa dell’arte del vivere evangelico». Il prof. Givone ha ricordato come «a partire dai secoli XV-XVI il processo di secolarizzazione sembra allontanare l’arte dal sacro. Se in passato “la penna dei profeti riusciva ad intingersi nell’essenza del divino”, successivamente l’uomo ha dovuto confrontarsi con la natura, come dimostra la teoria di Galileo Galilei riguarda alla «secolarizzazione della Natura». Nel contempo, ha sostenuto il docente, «emergono teorie e tecniche che ripropongono un’ idea dell’arte in cui il sacro ricopre un ruolo preponderante: la tecnica della prospettiva lineare, a partire da Masaccio, la teoria vichiana del singolo, la poetica di Bach del contrappunto ( l’arte della fuga), ma anche in epoca contemporanea nella visione del sociologo Adorno, nello scrittore Joyce e nell’artista Kandinskij».
Al termine di questa sessione è stata presentata l’importante Mostra fotografica “Aure”, come contributo-testimonianza artistico al Convegno, dalla sua stessa autrice, la giornalista e documentarista polacca Monika Bulaj. Sono scatti dedicati ad importanti temi di ricerca quali: i confini delle fedi (mistica, archetipi, divinazione, possessione, pellegrinaggi, corpo, culto dei morti), minoranze, popoli nomadi, migranti, intoccabili, diseredati, in Asia, Europa e Africa. Com. stampa a cura di Riccardo Liguori con la collaborazione di Maria Laura Bedini e Susanna Marini /
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